Lo scrittore greco Pausania, dotto antiquario del II secolo d.C., dell’epoca degli imperatori Antonini, nel suo celeberrimo libro Viaggio in Grecia o Periegesi, riporta nell’VIII libro dedicato alla regione più interna della penisola peloponnesiaca, l’Arcadia, abitata da gente che era considerata allora, e ancora oggi, la più antica popolazione della Grecia, un curioso e interessantissimo culto relativo ad una dea dalle sembianze molto singolari, che sarà oggetto di questa trattazione dalle molteplici implicazioni, sia storiche, mitologiche che di psicologia archetipica.
Lo scrittore greco Pausania, dotto antiquario del II secolo d.C., dell’epoca degli imperatori Antonini, nel suo celeberrimo libro Viaggio in Grecia [1] o Periegesi, riporta nell’VIII libro dedicato alla regione più interna della penisola peloponnesiaca, l’Arcadia, abitata da gente che era considerata allora, e ancora oggi, la più antica popolazione della Grecia, un curioso e interessantissimo culto relativo ad una dea dalle sembianze molto singolari, che sarà oggetto di questa trattazione dalle molteplici implicazioni, sia storiche, mitologiche che di psicologia archetipica. Fig. 1: cartina geografica del Peloponneso con le indicazioni delle regioni geografiche di epoca classica
Lo scrittore in seguito racconta che la statua fu distrutta da un incendio e che gli abitanti non la ricostruirono. Successivamente (e qui riecheggia fortemente il mito di Demetra e Kore), per il fatto che non fu riedificata alcuna statua alla dea, una forte carestia colpì la regione, per cui gli abitanti si rivolsero alla Pizia, la quale vaticinò decadenza e rovina per tutti gli abitanti della zona se non si ripristinava il culto della sacra divinità femminile. Così infatti i culti della Dea furono ricostituiti e fu commissionata una statua bronzea al famoso scultore Onata di Micone che, in base a vecchi disegni, ricostruì le sembianze della Dea dopo una generazione dall’invasione della Grecia da parte di Serse (quindi circa nella metà del V secolo a.C.), quattro secoli circa prima della nascita del nostro viaggiatore Pausania. Anche la statua bronzea comunque andò completamente distrutta da un crollo della volta del tempio meno di un secolo prima del viaggio in Arcadia dello scrittore, ma il culto della Dea si conservò. Phigaleia è una delle poche cittadine dell’Arcadia che non coniò mai monete [2], considerata quindi un centro minore come importanza politica e strategica. Il culto della Dea teriomorfa risale molto probabilmente agli albori della civiltà egea, presumibilmente da collocare tra il primo e il secondo millennio avanti Cristo, sicuramente antecedente al medio evo ellenico. Un’intricata trama di rapporti mitico-culturali esiste tra la città arcadica di Phigaleia e la città di Thelpusa, sempre nella stessa regione, ma situata più a settentrione a circa trenta chilometri [3]. Le due città, ma soprattutto Thelpusa, si collegano con un altro centro importante di culto e precisamente alla città arcadica di Lycosoura, a una quindicina di chilometri a oriente di Philageia, ove esisteva un imponente santuario dedicato ad una dea dal nome altrettanto misterioso, Despina, che significa “La Signora”. Alla dea impronunciabile (esattamente come è impronunciabile il tetragramma ebraico del nome di Adonai, il Signore), erano dedicati culti misterici i cui particolari non ci sono pervenuti (come accade di norma in tutti i contesti misterici arcaici), ma che con molta verosimiglianza facevano parte dell’ambito cultuale demetriaco o meglio del contesto più arcaico del culto della Grande Dea, la cui ipostasi più tardi si frazionerà nelle varie divinità del pantheon femminile ellenico. Ritornando alla città di Thelpusa, a settentrione di Phigaleia, qui esisteva un importante tempio dedicato a Demetra Erinys. La dea aveva ricevuto questo appellativo (che, in dialetto arcadico, ci riporta Pausania, significa “nutrita di collera”) per la violenza subita da un’altra divinità importante, il fratello del padre degli dei del Pantheon greco, Poseidone, che, invaghito di essa mentre era nella cerca disperata della figlia rapita da Ade (altro fratello di Zeus), si trasformò in cavallo per potersi accoppiare con la dea, che si era camuffata in mezzo a una mandria di destrieri, assumendo le sembianze di puledra per potergli sfuggire. Nella importante città arcadica di Mantinea, sita nella porzione più orientale della regione, vi era un santuario oracolare sacro a Poseidone Ippio, cioè a quella stessa divinità che si era congiunta con Demetra Erinni. Dall’unione delle due divinità teriomorfe era nata la Despoina, venerata nei misteri di Lycosoura [4]. Per ritornare alla città di Phigaleia, oggetto della nostra trattazione, in una caverna in prossimità della città, sul monte Elaion, la Dea Melaina aveva la sua epifania ed era associata a Demetra con il nome di Demetra Melaina: questa dea dalla testa di cavalla (risulta evidente qui la commistione con il mito panellenico di Demetra-Core-Ade e quello di Demetra e Poseidone Ippio arcadico), si era ivi rinchiusa, come riporta Pausania, in segno di lutto per il doppio dolore causato dai due dei fratelli: lo stupro ad opera del dio del mare e la perdita della figlia ad opera di Ade, signore delle tenebre; quindi indossando, in segno di mestizia, l’abito nero, permaneva in questa spelonca per un lungo periodo di tempo. La dea madre Demetra assume quindi una forma teriomorfa adottata invano per sfuggire alle attenzioni della suprema divinità del mare, coprendosi ulteriormente di un velo nero che la caratterizzerà e la contraddistinguerà da tutte le altre divinità. Al nascondimento in segno di lutto della dea segue il periodo rovinoso di carestia ed impoverimento della terra. Tutti gli dei imploravano che facesse ritorno con le sue messi ma ignoravano il luogo dove la divina si nascondeva. Il dio Pan la scoprì nella grotta e riferì a Zeus che le mandò subito le Moire le quali, con opera di persuasione, convinsero la dea ad abbandonare il lutto, uscire dall’antro e ripristinare l’equilibrio della natura senza alcuna contropartita (ciò si discosta dal mito di Persefone e del suo ritorno stagionale dagli Inferi). I figalesi per riconoscenza istituirono il culto della dea che ha abbandonato il lutto, edificando uno spazio sacro ove venerare l’epifania della dea costruendole prima una statua lignea e successivamente una statua bronzea che ai tempi del periegeta erano andate entrambe distrutte. “L’aspetto teriomorfo, e gli attributi animali pertinenti ai tre regni, terrestre, acquatico e aereo, secondo la mitologa Sfameni Gasparri [5], configurano l’immagine, di una signora (Despoina) degli animali, una personalità dall’ampia dimensione cosmica, connessa alla fertilità ctonia ma in termini diversi rispetto alla cerealicola Demetra panellenica”. Il culto, come riportato dallo scrittore ellenico, non prevedeva il sacrificio di alcuna vittima animale ma la deposizione ” sull’altare eretto davanti alla caverna di frutti degli alberi e tra gli altri quelli della vite, i favi delle api e le lane non ancora lavorate, ma ancora intrise di grasso. Una volta deposte le offerte sull’altare” venivano cosparse di olio. Il rito veniva celebrato da una sacerdotessa e con lei dal più giovane dei cosiddetti sacrificatori (cfr. più sotto il rapporto tra Demetra e Dioniso) [6]. Un boschetto sacro di querce circonda la grotta (contesto iniziatico e cultuale costante nelle religioni arcaiche – specie nella dionisiaca) con la presenza di una sorgente di acqua fredda ove l’acqua rappresenta la purificazione ma contiene anche valenze archetipiche che più avanti analizzeremo.
Fig. 3: askoi votivo fittile di Kore che tiene una colomba col braccio sx. Nel corteo degli dei, raffigurato sul celebre vaso François, Dioniso e Demetra seguono a piedi le altre divinità che incedono sul carro. Esse sono due divinità “aggiunte”, che non facevano parte del pantheon olimpico originario. In un certo senso è normale che il dio della vita e la dea della fertilità presentino delle affinità. Tuttavia fra le due religioni sembra esserci una relazione che va oltre l’affinità. È come se i due culti si richiamassero a un lontano sfondo comune. E questo sfondo comune potrebbe essere costituito da una religione sincretica demetriaco-dionisiaca, formatasi nella prima metà del primo millennio a.C. in ambiente cretese e diffusa in tutta l’area egeo-anatolica, ma a Phigaleia non ancora sviluppata se non successivamente (IV secolo) con la cooptazione del ragazzo officiante “sacrificatore” a latere della Sacerdotessa. Demetra Melaina inoltre tiene sulla destra un delfino, rappresentazione simbolica diffusa nelle pitture murali a Cnossos, soprattutto nella sala della regina, collegato quindi al simbolo dell’acqua, del triangolo alchemico con il vertice verso il basso, simbolo femminile tenuto con la mano destra, che in accordo con la tradizione sephirotica ebraica, rappresenta anche qui il lato femminile (punitivo della Madre Terribile). La testa della divinità di Phigaleia è curiosamente e sorprendentemente di forma equina, epifania teriomorfica della dea della Terra che ci mette in relazione all’idea del movimento, del divenire cosmico [12], della energia pulsionale con doppia valenza: libera e pericolosa quando allo stato brado, frenata e controllata quando addomesticata, che riesce a riequilibrare aria e acqua come nel pantacolo martinista la croce al centro del sigillo di Salomone [13], e come, secondo la psicologia archetipica junghiana, si viene ad attuare con il travagliato processo di individuazione che conduce al Sé. Il cavallo è simbolo dell’inconscio (come l’archetipo della Grande Madre) e ce lo dimostra il colore nero della veste, del lato oscuro, del regno delle tenebre, della energia vitale; è inoltre rappresentazione della forza del desiderio e della libido e domarlo equivale a padroneggiare le pulsioni interiori. Risultanza della vittoria dello spirito arricchito sui sensi questa Dea ammonisce di padroneggiare con severità (lato destro) le pulsioni negative del profondo (lato inconscio), ma anche riequilibrarle afferrando e controllando con intuito e saggezza (mano sinistra cardiaca) gli slanci generosi verticali della mente che ne derivano da questa disposizione positiva. Dalla testa equina della Dea emergono però creature mostruose generate dalla mente inquieta e non in equilibrio: ma queste proiezioni negative sono allontanabili non attraverso esercizi cruenti, e qui sta tutta l’originalità di questo culto, ma attraverso l’offerta di semplici oggetti (i frutti della vite, la lana degli animali, il miele – simbolo junghiano del Sé – e riemerge per i primi due anche qui il mito di Dioniso) e quindi attraverso la riscoperta di quel semplice, che dovrebbe stare alla base dei rapporti umani e dei rapporti con la Natura, proponendosi in una nuova e più moderna prospettiva religiosa ove viene preferito un offertorio che supera splendidamente l’arcaicità dei sacrifici animali. La dea infine si è ritirata in un antro-spelonca, anche qui con forti valenze simboliche da ricollegare ai culti primitivi della Grande Madre [14], ove la caverna rappresenta la proiezione simbolica dell’utero materno, dove lo stagno e l’acqua di sorgente esterni sono sempre rappresentazioni cultuali e simboliche inerenti al grande archetipo della Dea Infera, che, come abbiamo visto è latrice di un messaggio positivo che, per sorte favorevole, grazie al dotto viaggiatore dell’epoca imperiale romana, è giunto sino a noi. __________ Note 1. Pausania, Viaggio in Grecia, Arcadia, Libro VIII, cap XLII, 2004 Ed BUR. (torna al testo) 2. D.R. Sear, Greek Coins, vol 1, Seaby 1975. (torna al testo) 3. Sfameni Gasparro, in Miti e Misteri. La fondazione mitica del rituale iniziatico in Grecia: il caso di Eleusi (in Il mito e il nuovo millennio, a cura di Ortoleva e Testa, Moretti e Vitali Ed.,2006. (torna al testo) 4. Pausania, Viaggio in Grecia, Arcadia, Libro VIII, 25, 4-7, 2004 Ed BUR. (torna al testo) 5. Sfameni Gasparro, in Miti e Misteri, pag 96-100, a cura di Ortoleva e Testa, Moretti e Vitali Ed.,2006. (torna al testo) 6. Pausania, Viaggio in Grecia, Arcadia, Libro VIII, cap XLII, 2004 Ed BUR. (torna al testo) 7. W. Burkert 1979, tr. it. pp.197-225. (torna al testo) 8. M. Eliade, Storia delle Credenze e delle Idee Religiose, libro 1, Sansoni, pag 160. (torna al testo) 9. E. Shadmi, Sefer Yetzirà, libro della formazione, ATANOR ed. 1995. (torna al testo) 10. M. Eliade, Storia delle Credenze e delle Idee Religiose, libro 1, Sansoni Ed. (torna al testo) 11. F. Ingrillì, I Cerbiatti di Dioniso, pag 62-69, Ermes dei Parchi Ed. 2004. (torna al testo) 12. C. Morel, Dictionaire des symboles, mythes et croyances, L’archipel Ed, 2004. (torna al testo) 13. L.C. de Saint Martin, I Numeri, Ed Firenze Libri 2004, trad. O. La Pera, pag73. (torna al testo) 14. E. Neumann, La Grande Madre, Casa Editrice Astrolabio1981, pag 30-64. (torna al testo) |