Il Bambino nascosto /5.1

Psicologia

Sono tanti i temi che si presentano ad ognuno di noi lungo il percorso di separazione, differenziazione e individuazione che ci porta alla costituzione di noi stessi come individui unici e irripetibili.

Il Bambino nascosto /5.1

di Alba Marcoli

Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli 

SommarioLa strada dell’individuazione – Favola numero 13 – Favola numero 14 – Favola numero 15 – Il tema della perdita 

Capitolo quinto. La perdita 

La strada dell’individuazione 

Sono tanti i temi che si presentano ad ognuno di noi lungo il percorso di separazione, differenziazione e individuazione che ci porta alla costituzione di noi stessi come individui unici e irripetibili. Per quanto i vari temi possano essere comuni a tutti, appare invece unico il modo in cui essi si intrecciano nella vita di ognuno di noi. 

Le ultime tre storie, costruite un po’ più sul modello della fiaba classica, sono state scelte fra alcune che utilizzo intorno al tema della perdita, la dimensione che è sempre in gioco ogni volta che affrontiamo un cambiamento. 

Ogni passaggio, ogni evoluzione, sono fatti contemporaneamente di qualcosa che si acquista e di qualcosa che si perde, lasciandocelo alle spalle. E poiché ciò che si perde è sempre il familiare e conosciuto, ciò che ci rassicura perché è noto, ecco che la perdita diventa un tema molto difficile da affrontare sul piano mentale. 

Come nella fiaba tradizionale, anche in queste ultime tre storie il protagonista lascia la propria casa familiare e nota (sia che si tratti di una situazione reale che simbolica) per partire verso il proprio viaggio di individuazione, lungo e faticoso come ogni viaggio del genere. 

Nel suo percorso sarà aiutato dai doni che ha ricevuto dall’ambiente e che porterà con sé come aiuto per superare gli ostacoli lungo il cammino. 

Alla fine, come in ogni fiaba, il dolore di una perdita accettata viene compensato dal piacere della conquista. 

Favola numero 13 

Il principino che non sapeva perdere 

“Oh, vento se vien l’inverno, può la primavera esser molto lontana?” P. B. Shelley, “Ode al vento dell’Ovest”. 

Una volta, tanto e tanto tempo fa, al paese degli uomini esisteva un piccolissimo regno completamente circondato dalle montagne e inaccessibile a tutti, dove viveva felice un lontano popolo con il suo re e la sua regina. 

L’unica cosa che mancava a questo regno era però un principino, che tutti aspettavano ma che non arrivava mai. Figuratevi quindi le feste che furono fatte quando il principino finalmente nacque. 

Tutto il paese gli portò ogni sorta di doni e ognuno faceva a gara a trattarlo come meglio poteva. 

Il principino crebbe pensando che quella fosse l’unica condizione possibile in cui vivere e si aspettava che sarebbe durata per sempre, visto che a un cucciolo, tanto più se è nato in una reggia, di solito si concedono tutte vinte. 

E fu così che il principino continuò a restare piccolo anche se il tempo passava, i giorni si succedevano alle notti, le stagioni scorrevano l’una dopo l’altra e l’acqua del fiume continuava a scendere. Era come se lui non volesse crescere per non perdere tutti i doni che si hanno quando si è piccoli. 

Agli inizi anche i suoi genitori l’assecondarono, anzi, sotto sotto, ne furono persino un po’ contenti, perché anche per loro era un dono avere un figlio piccolo in casa che li faceva sentire giovani e dimenticare i problemi. 

Però, man mano che il tempo passava, anche il re e la regina si accorsero che stavano invecchiando e che fra i loro capelli se ne affacciava qualcuno già bianco e fu allora che cominciarono a impensierirsi. 

«Ma se Tommaso» era questo il nome del principino «non vuole crescere, diventerà molto infelice un giorno, quando noi non ci saremo più e non potremo provvedere a lui» disse un giorno il re, e anche la regina fu d’accordo, perché questo pensiero aveva già cominciato a preoccuparla da un po’ di tempo a questa parte. 

Decisero di chiamare a consulta i saggi di tutto il mondo e tre messaggeri del re andarono in giro con il bando oltre le montagne per spargere la voce. Quando finalmente i saggi si ritrovarono alla reggia, parlarono tra di loro per giorni e giorni perché, essendo in tanti, avevano molti pareri diversi e alla fine andarono dal re e dalla regina. 

«Ecco, abbiamo deciso una cosa su cui siamo tutti d’accordo» dissero infine «ed è che il principino non potrà crescere e diventare vecchio senza essere diventato grande se non farà un viaggio intorno al mondo a cercare tre città, quella del Dove, quella del Come e quella del Quando.» 

«E dove sono queste città?» chiese allarmata la regina, spaventata dall’idea che suo figlio dovesse partire per una simile avventura. 

«Questo lo deve scoprire Tommaso» risposero i saggi «anche perché sono delle città speciali, che per ognuno stanno in posti diversi secondo i vari momenti della vita.» Detto questo, i saggi presero i loro libroni voluminosi, li misero dentro grossi fagotti e se ne tornarono ognuno a casa propria. 

Nessuno però si era accorto che il principino Tommaso aveva ascoltato tutto spiando dietro a una porta e, man mano che i saggi parlavano, era sempre più incuriosito dalle tre città, cosicché quando loro smisero di parlare aveva già preso in cuor suo la decisione di partire per andare a cercarle. 

In realtà lui da qualche parte dentro di sé aveva sempre saputo che anche il suo papà e la sua mamma erano contenti se lui restava piccolo e così, in quella parte segreta e inaccessibile a tutti, se li era sempre sentiti alleati, anche se con le parole della bocca gli dicevano che ormai era tempo di crescere. 

Invece questa volta il principino aveva proprio capito bene dentro di sé, anche in quell’angolo segreto, che il re e la regina volevano davvero che lui diventasse grande e questo l’aiutò a prendere una decisione «da grande». 

Fu così che il giorno dopo, allo spuntar dell’alba, il principino lasciò un biglietto ai suoi genitori per rassicurarli e partì col suo fagotto in spalla. 

Camminò per giorni e giorni per attraversare le montagne altissime che difendevano il suo regno, ma alla fine si trovò dall’altra parte, su una pianura amplissima dove si intravedevano paesi, città, fiumi, laghi e strade che correvano, si intersecavano, prendevano direzioni diverse e poi sparivano all’orizzonte. Chissà quale era quella giusta! 

Cammina, cammina, il principino Tommaso si trovò infine in mezzo a un quadrivio: una strada andava a Nord, una andava a Sud, una andava a Est e l’altra andava a Ovest. Preso dalla perplessità Tommaso si sedette proprio ai bordi del quadrivio e cominciò a pensare: «Dunque, se vado a Nord può darsi che trovi la strada giusta, ma se questo non succede perdo le altre tre possibilità, quella dell’Est, dell’Ovest oppure del Sud, che sicuramente hanno la direzione giusta. Se invece vado a Sud, può darsi che sia la scelta buona, ma se questo non è vero perdo la possibilità dell’Est, oppure dell’Ovest oppure del Nord, e lo stesso mi succederà se vado a Est oppure a Ovest.» 

E mentre era intento a curare questi pensieri, il principino Tommaso continuava a stare seduto e a non andare da nessuna parte, per paura di perdere la possibilità giusta. 

Intanto la gente arrivava al quadrivio, sceglieva una direzione e passava oltre, mentre lui era sempre fermo, in attesa. 

Finché fu la volta di un vecchio con una barba bianca lunghissima che passò di lì e si sedette a riposare vicino a lui senza parlare. Dopo che fu passato un bel po’ di tempo, il principino cominciò a tossire e a sospirare, tanto per attirare l’attenzione, ma il vecchio non si scompose e non disse niente. Allora il principino, che non era abituato a sentirsi trattare con indifferenza, sospirò un po’ più forte e disse: «Ahimè!», ma il vecchio continuò a restare muto e impassibile come se niente fosse. Il principino cominciava ad arrabbiarsi. Come, proprio a lui che era abituato ad aver tutti ai suoi piedi, doveva capitare di trovare un compagno di viaggio così indifferente che non si curava dei suoi sospiri? Ma la faccia del vecchio era impassibile e imperturbabile più di prima anche se era una faccia che ispirava simpatia. 

«Senti, mi potresti aiutare?» gli chiese infine Tommaso e questo gli costò moltissimo, perché lui non era abituato a chiedere aiuto agli altri. 

«Aiutare a far che?» gli rispose il vecchio girandosi verso di lui. 

«A trovare la direzione che mi assicuri che quella sia la strada giusta per il mio cammino. Vedi, se vado a Nord devo rinunciare alle altre direzioni. E se poi invece la strada giusta era lì?» 

Il vecchio ci pensò a lungo, sempre in silenzio, e poi rispose: «Il problema sembra essere quello di saper perdere. Se non accetti di perdere le altre tre direzioni, non potrai più muoverti di qui». 

Il principino fu molto colpito da quelle parole, stette muto per un po’ e alla fine disse, con un sospiro più grande degli altri: «Il fatto è che nessuno mi ha insegnato come si faccia a perdere…». 

«Eh, già,» rispose il vecchio «perdere è una cosa difficilissima per tutti, non solo per te e nessuno ce la può insegnare, siamo noi che la impariamo! Ma in realtà è l’unica cosa che ci permette di vivere per davvero e di camminare e di fare le nostre conquiste.» 

Sulla faccia del principino cominciarono a scorrere dei grossi lacrimoni e queste furono le uniche parole che il suo cuore seppe dire per un dispiacere così grande come era per lui quello di perdere qualcosa. 

Il vecchio gli lasciò piangere tutte le lacrime, poi tirò fuori dalle tasche tre grossi semi e glieli donò. 

«Guarda,» disse «questi sono tre doni che ti faccio. Uno è il seme che aiuta a essere sempre protetti dai pericoli, il secondo è quello che aiuta a prendere una decisione da soli, il terzo è quello che aiuta ad accettare dei rischi. 

Sono tre semi speciali che fanno nascere delle piante invisibili che crescono dentro di noi e ci accompagnano per tutta la vita. 

Quando ti accorgerai che le tue piante sono abbastanza grandi e che i semi non ti servono più, donali a qualcuno che deve ancora far crescere le sue piante. 

Solo allora potrà succedere qualcosa d’altro, come ogni volta che si perde qualcosa.» E a quel punto il vecchio si alzò, riprese il suo bastone e partì in direzione dell’Ovest. 

Il principino lo guardò sparire all’orizzonte e poi si alzò. 

«Dunque,» pensò tra sé «se lui che è vecchio e saggio va verso Ovest, vuol dire che quello è il posto di chi conosce già le cose, ma io che sono piccolo e devo ancora imparare andrò nella direzione opposta.» 

E fu così che il principino Tommaso partì in direzione dell’Est, guidato dal sole che sorgeva proprio là e che illuminava la sua strada. Cammina, cammina, cammina, il principino attraversò paesi, campagne, vallate, ma delle tre città non si vedeva neanche l’ombra. 

Passarono così quattro stagioni e lui continuava il suo viaggio che sembrava proprio infinito. Finché un giorno, lungo le rive di un fiume che scorreva impetuoso, Tommaso trovò un volpacchiotto che piangeva perché era rimasto solo al mondo ed era piccolo e indifeso davanti ai pericoli. 

Allora il principino si ricordò dei doni del vecchio, ci pensò un poco, poi prese il primo seme e glielo regalò. Appena il volpacchiotto lo ebbe fra le zampe, ecco che dai cespugli sbucò una famiglia di volpi che lo adottò all’istante e tutti insieme sparirono nel bosco. 

Sulle guance del principino cominciò allora a scorrere una grossa lacrima. Come, lui si era privato di una cosa preziosa, era rimasto con soli due semi, e il volpacchiotto se n’era andato così, senza neanche guardarlo! Ma nel momento in cui alzava il viso per asciugarsi le lacrime, ecco che si accorse che sul fiume era comparso un ponte oltre il quale si potevano intravedere le mura di una grande città. 

Stupito e incuriosito il principino attraversò il ponte e giunse davanti alle guardie che stavano all’ingresso della porta principale. 

«Come si chiama questa città?» chiese Tommaso pieno di speranza. 

«Come, non lo sai?» gli risposero le guardie. «Questa è la città del Dove!» 

«La città del Dove! Allora ci sono arrivato!» gridò felice Tommaso. «E in che posto della terra siamo?» chiese poi, visto che con tutto quel camminare aveva ormai perso l’orientamento. 

«Siamo qui!» gli risposero le guardie, e per quanto il principino si sforzasse non riuscì a ottenere altre risposte. 

Anche tutti gli altri abitanti, una volta interrogati, gli risposero: «Siamo qui!» e Tommaso capì che questo doveva essere il segreto della città. Allora si sedette per terra, si mise il capo fra le mani e cominciò a pensare. 

Alla fine, pensa e ripensa, nella sua mente si fece strada un pensiero che prima era oscuro e adesso diventava sempre più luminoso finché capì. 

Per lui la parola “qui” era stata quasi sconosciuta fino ad allora, perché la sua mente era sempre stata “là”, da qualche altra parte e i suoi pensieri vagavano spesso lontano da dove lui era. 

Dunque anche il principino, poco a poco, cominciò a imparare a usare la parola “qui” e ad affiancarla alla parola “là” e anche i suoi pensieri tornarono a fargli compagnia nel posto dove era. 

Visitata la prima città, il nostro principino partì per continuare la sua ricerca. 

Cammina, cammina, cammina, ecco che un giorno si trovò davanti a un cucciolo che doveva tornare a casa, ma non riusciva a trovare la strada perché se l’era dimenticata e allora se ne stava tutto triste davanti a un bivio, senza sapere da che parte andare. 

A quel punto Tommaso si ricordò della sua stessa disperazione provata al quadrivio, quando non sapeva dove andare; gli venne in mente il vecchio e fu allora che decise di donare al cucciolo il secondo seme che aveva avuto in dono. Il piccolo lo buttò per aria e quando il seme cadde su uno dei due sentieri se lo riprese e proseguì in quella stessa direzione che era proprio quella della sua tana e poté così tornare a casa felice e contento. 

Anche stavolta a Tommaso spuntò una grossa lacrima sul viso. 

Come, lui si era privato del suo secondo dono e il cucciolo se n’era andato così, senza neanche accorgersene? Ma mentre il principino alzava gli occhi ecco che gli giunsero da oltre gli alberi dei rumori familiari Attraversò il bosco in fretta e furia e si ritrovò dall’altra parte sotto le mura di una città protetta dalle guardie. 

«Come si chiama questa città?» chiese Tommaso pieno di speranza. 

«Come, non lo sai?» gli risposero le guardie, tra il divertito e lo scandalizzato. «Questa è la città del Come!» E fu così che il principino scoprì di aver finalmente trovato anche la seconda città che cercava. Entrò dentro le mura e subito dopo cominciò a interrogare i suoi abitanti. 

«Come si fa questo? Come si fa quello?» «Si fa così!» gli rispondevano tutti, ma ogni “così” era diverso per ognuno di loro e ciascuno riusciva a trovare il suo modo di fare le cose, un modo che andava bene proprio a lui in quel momento, mentre in un altro momento ne trovava un altro che andava bene per lui in quell’altro momento e così via. 

Il principino restò un po’ perplesso. 

Lui aveva sempre creduto che la risposta al “come” fosse una e una sola e che ci fosse un unico modo di fare le cose per tutti, anche se ognuno era diverso. E così poco a poco anche la seconda città gli insegnò che non c’è una sola e unica risposta al “come”, ma che ognuno nella vita si trova la propria, quella che va bene proprio per lui in quel momento. 

Abbandonata la città del Come, il principino continuò la sua strada. 

Cammina, cammina, cammina, attraversò di nuovo paesi e città, valli e montagne finché un giorno si trovò davanti a un incendio che era scoppiato in un bosco, in mezzo al quale era prigioniero uno scoiattolo che stava su un albero, pieno di paura. 

«Salta,» gli gridavano quelli che stavano sotto, al di là delle fiamme «salta, prima che il fuoco salga sull’albero!» Ma 1o scoiattolo aveva una gran paura di rischiare: «Adesso no, non ce la faccio! Dopo!» 

Allora Tommaso si ricordò del terzo dono del vecchio e gli lanciò il seme, che si fermò sulle foglie dell’albero. Lo scoiattolo lo prese in bocca e saltò. Per fortuna aveva deciso di rischiare ed era riuscito a saltare proprio al di là delle fiamme, dove i suoi amici gli fecero festa, esattamente un minuto prima che l’incendio si estendesse anche all’albero. 

Quando Tommaso vide gli scoiattoli allontanarsi senza neanche badargli ci rimase proprio male, ma mentre alzava la testa si accorse che davanti ai suoi occhi c’era un lago e che nel mezzo stava un’isola con sopra una città piena di case e di tetti e di torri che si specchiavano nell’acqua, e sulla riva c’erano tante barche. 

Tommaso se ne scelse una e remò fino all’isola. 

Quando sbarcò chiese alla gente che incontrò come si chiamasse la città. 

«Questa?» gli risposero meravigliati gli abitanti. «Questa è la città del Quando» e lui capì di aver finalmente trovato la terza e ultima città di questo suo viaggio per diventare grande. 

Allora cominciò ad andare in giro per tutte le strade a chiedere alla gente tutti i “quando” che gli venivano in mente e la gente gli rispondeva. Qualche volta diceva “ieri”, oppure “l’altro ieri”, oppure “l’anno scorso”, qualche altra volta rispondeva “domani”, oppure “dopodomani”, oppure “l’anno venturo”, ma molto, molto spesso, anzi spessissimo, rispondeva “oggi”. 

A Tommaso sembrava ci fosse qualcosa di strano, ma non riusciva bene a capire cosa, finché la spiegazione non gli fu chiara: in quella città la risposta più comune era “oggi”, mentre lui era sempre stato abituato a dire “ieri”, oppure più spesso “dopo”, oppure “domani”, ma intanto le cose non le faceva mai, perché gli bastava tenerle presenti nella sua mente, come se il suo pensiero magicamente le rendesse vere. 

E fu così che anche Tommaso imparò a fare entrare nel suo vocabolario la parola “oggi” che prima invece scappava sempre via come l’acqua da un secchio bucato. 

Visitata anche la città del Quando, il nostro principino si rese conto che era ormai tempo di tornare a casa e si mise in viaggio perché il suo compito era giunto al termine. 

Cammina, cammina, cammina, di nuovo attraversò pianure amplissime, montagne alte e scoscese, fiumi e laghi a volte tranquilli, a volte agitati, ed ecco che alla fine si trovò davanti alle montagne che circondavano il suo piccolo regno. 

Questa volta era diventato così grande e forte che impiegò molto meno tempo per attraversarle e immaginatevi la festa che fecero il re, la regina e tutti gli abitanti quando finalmente arrivò. 

Si fecero danze e giochi e tornei e ogni sera il principe Tommaso raccontava un pezzo delle sue avventure in piazza, in mezzo a tutti. 

E quando fu il suo turno di salire sul trono fu un re saggio e giusto che visse fino a tarda età finché ebbe una barba bianca lunghissima che gli arrivava giusto al cuore e fece tante leggi così buone che furono ricordate dalle altre generazioni ancora per anni e anni dopo che lui era già morto. 

Favola numero 14

Il principino che diceva sempre di no

“Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.” DANTE, “Purgatorio”, canto primo. 

Una volta, tanto e tanto tempo fa, nacque un principino a cui il paese del No, che tutti i bambini attraversano da piccoli, piacque tanto che ci andò ad abitare stabilmente, ma così stabilmente che la prima parola che gli usciva dalla bocca era sempre e solo quella, soprattutto se a parlare era la sua mamma che era una regina molto paziente e dolce, che a lui invece diceva sempre di sì. 

Man mano che il tempo passava, il principino continuava a dire di no, anche quando i bambini della sua età avevano imparato a dire qualche sì e ad avere la scelta fra le due parole. 

Invece il povero principino era come se non avesse nessuna possibilità di scelta, lui poteva dire solo di no e basta. 

La cosa gli andava molto bene quando gli chiedevano di mangiare la minestra o di lavarsi la faccia, oppure di fare i compiti o di andare a letto presto e così via. 

Quello che invece gli andava un po’ meno bene era che la parola no gli uscisse anche quando gli offrivano il gelato o le patatine fritte, oppure di giocare con gli altri bambini o in altre occasioni in cui gli sarebbe piaciuto di poter dire di sì. In questo caso il principino doveva ricorrere a mille trucchi per poter fare lo stesso queste cose senza perderci la faccia. 

Ma era proprio una gran fatica per tutti: per gli altri, in particolare la regina, che dovevano perdere ore e ore a tentare invano di convincerlo a dire di sì e per lui che doveva inventare mille modi per fare le cose a cui aveva detto di no, quando in realtà gli piacevano e avrebbe voluto farle. 

Finché arrivò la volta in cui il povero principino fu così stanco di tutto questo gioco senza uscita che una notte sognò di partire per un viaggio per andare a cercare il posto del Sì. 

«Ma dove può essere questo paese?» si chiese la mattina successiva nel risvegliarsi. Si guardò intorno per un po’, ma non riuscì a immaginarselo. 

Bisognava proprio partire per cercarselo: il principino ci pensò sopra per giorni e notti e alla fine partì. 

Cammina, cammina, cammina, il principino si trovò un giorno ai piedi di una montagna così alta che la sua cima saliva sopra le nuvole. 

«Che montagna è questa?» chiese a un viandante che passava di lì. 

«Questa è la montagna delle tempeste» gli rispose l’altro con la massima naturalezza. 

«E perché si chiama così?» insistette il principino incuriosito. 

«Perché non ci si può avventurare verso la cima senza incontrarne almeno una» rispose l’altro. 

«E che cosa succede dopo che è passata la tempesta?» continuò il principino testardamente. 

«Succede che si scopre sempre qualcosa che prima non si riusciva a vedere. Ma ora ti saluto perché devo andare.» E il viandante proseguì impassibile per la sua strada. 

«Dunque» pensò il principino «se dopo ogni tempesta si scopre sempre qualcosa, forse anch’io potrei finalmente scoprire come fare per trovare il posto dove si impara anche a dire di sì qualche volta.» 

Però l’avventurarsi sulla montagna gli faceva molta paura, e il principino, in attesa di decidersi, si accampò per la notte. 

Prese un po’ di foglie secche, perché si era d’autunno, le ammassò sotto un albero e ne fece un letto su cui si sdraiò coprendosi ben bene con il suo mantello, fin sopra gli occhi, per non vedere il buio che gli faceva molta paura. E poi si addormentò perché aveva camminato tanto ed era molto stanco. 

Ed ecco che, man mano che la notte passava, cominciò a sognare. 

Agli inizi era tutto un po’ confuso e non riusciva a capire dove fosse, poi poco a poco il sogno si fece più chiaro e lui capì di essere proprio sulla montagna tempestosa, al centro di una tormenta di neve. 

Il vento soffiava forte e la neve gli cadeva addosso dappertutto, sul mantello, sul viso e negli occhi, costringendolo a una gran fatica per camminare e per vedere. Ogni tanto inciampava, ruzzolando a terra, e quando si rialzava non sapeva più in che direzione andare, finché a un certo punto, preso dallo sconforto, si sedette sulla neve, si coprì col suo mantello e cominciò a piangere. Ma le lacrime che il povero principino versò furono così tante e così calde che sciolsero il cumulo di neve davanti al quale si era seduto. 

Pieno di stupore, si accorse ad un tratto che proprio lì davanti c’era una porta che prima era completamente nascosta dal cumulo di neve. 

La aprì timoroso e si ritrovò dentro a una capanna tiepida dove un vecchio si scaldava davanti a un fuoco. 

«Benvenuto!» gli disse il vecchio. «Come hai fatto ad arrivare fin qui?» Il principino si riposò un poco al caldo del camino e poi cominciò a raccontare la sua storia. 

«Allora tu sei venuto sulla montagna per scoprire qualcosa!» commentò il vecchio quando il racconto fu finito. «Vuol dire che io ti aiuterò. 

Guarda, per trovare quello che tu cerchi, bisogna…» Ma a quel punto l’alba stava spuntando sul bosco, gli uccelli avevano finito il loro riposo notturno e il loro canto risvegliò il principino proprio nel bel mezzo del sogno, nel momento in cui stava per trovare finalmente ciò che cercava. 

Deluso e amareggiato, il principino cominciò a pensare, finché decise di avventurarsi sulla montagna, alla ricerca del vecchio del sogno. 

Quando partì era ormai autunno inoltrato, ma quando arrivò a metà montagna si era già in pieno inverno. 

E un giorno il povero principino si trovò nel bel mezzo di una tormenta così spaventosa che quella del sogno era a paragone una tranquilla giornata di primavera. Il principino lottò con tutte le sue forze, ma alla fine cadde sfinito su un mucchio di neve e pianse tutte le sue lacrime pensando di stare ormai per morire. 

Invece, proprio come era successo nel sogno, a poco a poco le lacrime sciolsero la neve sotto di lui, finché comparve una porta che prima era nascosta. 

Il principino la spinse, scoprendo una capanna bella e calda, dove il vecchio della montagna si scaldava al fuoco. 

«Benvenuto!» gli disse lui. «Che cosa cerchi sulla montagna?» Appena si fu ripreso dal freddo, dalla fame e dallo stupore, il principino gli raccontò la sua storia. 

Quando ebbe finito il suo racconto il vecchio gli disse: «Se ho capito bene, tu cerchi il posto dove si impara a essere più liberi dentro. 

Dunque, vediamo un po’. A quel che so io, i bambini a un certo punto della loro vita di solito lo trovano, questo posto, quando hanno detto abbastanza no da non averne più così bisogno. 

A te invece questo non è ancora successo, ma siccome tu non lo fai per capriccio, altrimenti non faresti tutta questa fatica e non passeresti attraverso tutte queste pene, si vede che per qualche motivo tu hai ancora bisogno di dire sempre di no.» 

«Eh, già!» ribatté il principe sconsolato, «ma come posso fare allora?» 

«Mah…,» continuò il vecchio «lasciami pensare. Dunque, i no dei bambini servono ad aiutarli a rompere un cordone invisibile, quello che li lega ai genitori. 

Si tratta di un cordone speciale che non si vede e che quando un bambino è molto piccolo gli è assolutamente indispensabile, tanto che se non l’avesse non potrebbe sopravvivere da solo. Però, man mano che un bambino cresce, questo cordone prima si allenta e poi quando ormai non serve più se ne va perché il bambino ha imparato a fare lui le cose che prima gli procurava il cordone. 

Di solito succede quando un bambino ha detto abbastanza no da poter cominciare a fare le cose da solo, non soltanto con l’aiuto dei grandi. Questo però nel tuo caso non si è ancora verificato. 

Si vede che, per qualche motivo che noi non conosciamo, il tuo cordone è un po’ più grosso e resistente degli altri. 

Allora tu devi cercare qualcosa che ti aiuti a tagliarlo, altrimenti corri il rischio di andare avanti a dire no per tutta la vita, anche quando non ne hai proprio voglia. Guarda, io ti farò un regalo per aiutarti.» 

E, da una pietra dietro il camino, il vecchio estrasse una scatoletta sigillata che aveva conservato con cura. La prese e la diede al principino. 

«Ecco,» gli disse «questa è una scatoletta che contiene una cosa preziosa per aiutarti. Però io non ne ho la chiave; ce l’ha la vecchia della montagna che vive al di là della vetta sopra le nuvole. 

Se riuscirai a salire fino in cima e poi a scendere e a trovarla, raccoglile della legna per le sue provviste e lei te la regalerà.» 

Il principino stette per un po’ di giorni nella capanna del vecchio in attesa che passasse quella brutta tormenta e ascoltò le storie che lui raccontava vicino al camino. Poi lo ringraziò, lo salutò e partì. 

Cammina, cammina, cammina, finalmente un giorno arrivò in cima alla montagna che era così alta da essere completamente avvolta da una nuvola, cosicché non si vedeva più niente. E da lì cominciò a scendere finché la nuvola si diradò e si poté di nuovo vedere. 

Ricordandosi delle parole del vecchio, appena arrivò in un bosco il principino si mise a raccogliere un po’ di legna qua e là, e quando ne ebbe una bella fascina grande e pesante si ritrovò davanti a una capanna. 

Bussò varie volte, ma non gli rispose nessuno. 

Allora si mise ad aspettare pazientemente seduto sopra un tronco. 

Quando venne la sera dal bosco sentì arrivare dei rumori di legna secca, e poco dopo vide comparire una vecchia che ne portava un po’ sulle spalle. Il principino si alzò e l’aiutò a portarla dentro la capanna, aggiungendo anche la sua: era proprio una bella provvista. 

La vecchina, sempre senza parlare, accese il fuoco, mise a scaldare un po’ di minestra d’erbe e poi apparecchiò la tavola con due piatti, cosicché anche il povero principino poté mangiare qualche cosa di caldo dopo tanto freddo, ma sempre in silenzio. 

Solo dopo che la cena fu finita, seduta vicino al fuoco, la vecchia gli chiese: «Che cosa cerchi sulla montagna?» e lui le raccontò tutta la sua storia che ormai stava diventando ricca e lunga. 

Quando ebbe finito ci fu un altro silenzio, poi lei disse: «Ho visto che ti sei dato da fare per raccogliermi la legna e io ti farò un regalo». Estrasse dalle tasche del grembiule una vecchia scatola e ne tirò fuori due chiavi d’oro. «Ecco, questa è la chiave che tu cerchi. Provala!» 

E il principino aprì tutto incuriosito e ansioso la sua scatola e ci trovò dentro un paio di forbici d’oro. 

«Queste sono le forbici che ti servono per tagliare il cordone invisibile. 

Ogni volta che senti che non riesci a dire di sì perché c’è qualcosa a te ignota che ti costringe a dire di no, tira fuori le forbici e dà una sforbiciatina in aria. Ricordati però che non sono forbici magiche, cioè non lo tagliano una volta per tutte. Ti aiuteranno a tagliarlo ogni volta che ce ne sarà bisogno, per tutta la vita.» 

«E quest’altra chiave per che cos’è?» chiese incuriosito il principino. 

«Questa la devi portare alla tua mamma, perché anche lei ha un cordone invisibile che la tiene prigioniera, e se riesce a tagliare il suo forse aiuterà anche te a tagliare il tuo. Però la sua scatola non è sulla montagna, è nascosta nella soffitta del suo palazzo e sarà lei a doverla trovare, se vuole aprirla con questa chiave.» 

E fu così che il principino ebbe finalmente i doni che cercava. 

Preparò tanta legna per la vecchina, poi la salutò e cominciò a scendere per tornare a casa passando da un’altra strada, perché ormai quella della montagna l’aveva già fatta. 

Dopo che furono passati giorni, giorni e giorni, e notti, notti e notti, ecco che finalmente il principino arrivò al suo palazzo e portò a sua madre il regalo della vecchia della montagna. 

La regina cercò a lungo nella soffitta, e anche lei trovò la sua scatola con dentro delle forbicine d’oro, e poco a poco il principino che prima diceva sempre no poté imparare anche a dire qualche sì, soprattutto quando ne aveva davvero voglia. 

Ma se voi volete sapere come hanno fatto per imparare, io proprio non lo so, anche perché non esiste il libro delle ricette per queste cose. 

Ognuno deve fare lo sforzo di camminare per capire e poi si troverà la sua ricetta personale. 

L’importante, però, è che capisca col cuore, perché capire solo con la testa non serve a molto. 

Solo che per capire col cuore bisogna anche avere il coraggio di salire sulla montagna delle tempeste e affrontare il gelo della tormenta e sciogliere i cumuli di neve con le lacrime, proprio come ha fatto il nostro principino. 

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