Quali furono le opinioni di L. C. de Saint-Martin sulle donne e quali i suoi rapporti con esse? Certamente sulle sue opinioni ebbe indubbiamente un ruolo importante la sua piena adesione a quanto gli insegnamenti ricevuti dal suo primo maestro, Martinez de Pasqually, e che erano di derivazione giudaico-cristiana, gli avevano dato.
«La donna, quanto a principio intellettuale, ha la stessa sorgente e la stessa origine dell’uomo. Poiché quest’uomo essendo condannato al dolore e non alla morte aveva bisogno presso di sé di un essere della sua natura e infelice come lui, che con le sue infermità e la sua privazione, lo richiamasse alla saggezza, esponendo continuamente ai suoi occhi, le conseguenze amare dei suoi smarrimenti».
Quali furono le opinioni di L. C. de Saint-Martin sulle donne e quali i suoi rapporti con esse? Certamente sulle sue opinioni ebbe indubbiamente un ruolo importante la sua piena adesione a quanto gli insegnamenti ricevuti dal suo primo maestro, Martinez de Pasqually, e che erano di derivazione giudaico-cristiana, gli avevano dato; e in effetti nella sua prima opera “Degli Errori e della verità” [1], che molto risente appunto dei suoi insegnamenti, partendo dalla proposizione: «il vero mestruo dei corpi è la terra», egli afferma: «È in essa, in effetti, che deve decomporsi principalmente il corpo dell’uomo, ma il corpo dell’uomo prende la propria forma nel corpo della donna; quando esso si decompone, non fa dunque che restituire alla terra ciò che ha ricevuto dal corpo della donna. La terra è dunque il vero principio del corpo della donna, poiché le cose ritornano sempre alla loro sorgente, ed essendo questi due esseri così analoghi l’uno all’altro, non si può negare che il corpo della donna abbia un’origine terrestre. Ricordandoci poi che essa è stata la prima origine corporea dell’uomo, vedremmo sensibilmente per quale ragione la donna gli è universalmente inferiore. Ma ci si è stranamente smarriti, quando si è creduto di poter portare questa differenza al di là della forma e delle facoltà corporee. La donna, quanto a principio intellettuale, ha la stessa sorgente e la stessa origine dell’uomo. Poiché quest’uomo essendo condannato al dolore e non alla morte aveva bisogno presso di sé di un essere della sua natura e infelice come lui, che con le sue infermità e la sua privazione, lo richiamasse alla saggezza, esponendo continuamente ai suoi occhi, le conseguenze amare dei suoi smarrimenti». Emerge pertanto da quanto detto, la reciproca e necessaria presenza di entrambe gli esseri e quindi la loro conseguente natura complementare. In un’altra sua opera [2], egli fa notare come per la generazione delle anime sia necessario il concorso di due esseri materiali; e che queste godranno delle facoltà dell’anima mascolina e dell’anima femminina con delle diversità molto pronunciate e molto istruttive; e questo concorso dei due esseri materiali, «che serve da passaggio alla sostanza dello spirito, non deve fermarci neppure perché l’uomo e la donna non sono in effetti che uno stesso spirito diviso in due corpi. Così, questi due corpi non devono essere contrari allo spirito, nel suo congiungimento produttivo, più di quanto non gli sono contrari nella sua esistenza nella separazione». Il fatto che l’uomo e la donna non sono “che uno stesso spirito diviso in due corpi”, ci riporta alla natura originaria dell’uomo che essendo ad immagine e somiglianza di Dio era conseguentemente androgino, e che per poter riconquistare l’immagine e la somiglianza perdute necessita che i “due corpi” ritornino ad essere uno. Nella sua ultima opera [3], il nostro filosofo, a questo proposito fa notare che: «…il pensiero dell’uomo non poteva vivere che d’ammirazione, come il suo cuore non poteva vivere che d’adorazione e d’amore. E aggiungo qui che questi diritti sacri si dividono nella specie umana tra l’uomo che è più incline ad ammirare, e la donna che lo è più ad adorare, essi perfezionano questi due individui l’uno con l’altro nella loro santa società, rendendo all’intelligenza dell’uomo la porzione d’amore di cui egli manca, e coronando l’amore della donna con i superbi raggi dell’intelligenza di cui essa ha bisogno; che così l’uomo e la donna si trovano riuniti visibilmente sotto la legge ineffabile dell’indivisibile unità». Sempre su questo punto dell’unità, ecco cosa dice ancora [4]: «Le donne, per la loro costituzione e per le cure caritatevoli e di beneficenza alle quali sono proprie, dimostrano giustamente che erano destinate ad un’opera di misericordia. Esse non sono, è vero, né preti, né ministri della giustizia, né guerrieri; ma sembrano esistere solamente per piegare la clemenza suprema, di cui il prete è ritenuto pronunciare i decreti, per addolcire il rigore delle sentenze portate dalla giustizia sui colpevoli e per medicare le ferite che i guerrieri si fanno nei combattimenti, o almeno per unire le loro cure delicate alle crudeli operazioni ed alle dure medicazioni che queste piaghe implicano. L’uomo sembra non essere che l’angelo sterminatore della Divinità; la donna ne è l’angelo di pace. Ch’essa non si compianga della sua sorte! Essa è il tipo della più bella facoltà divina. Ora, le facoltà divine devono dividersi, quaggiù, non vi è che nella Divinità stessa dove esse non formino che un’unità perfetta, ed una armonia dove tutte le voci viventi e melodiose non si fanno mai sentire che per formare l’insieme del più delizioso dei concerti». Ora quaggiù, dove le facoltà divine devono dividersi, secondo quanto dice il nostro filosofo, si verificano di conseguenza delle situazioni in cui la diversità tra l’uomo e la donna si rende particolarmente evidente, e nei passi che sottoporremo al lettore risalta anche un giudizio del loro autore non sempre benevolo nei confronti della donna: «Ho sentito che l’uomo può elevarsi fino a Dio, ed ho visto che comunemente le donne si elevano solamente fino all’uomo, e che è per questo che bisogna tanto condurle con il sensibile e con l’esteriorità, per sostenerle nella carriera, ed alimentare la loro religione; il mio venerabile Böhme me ne dà chiaramente la ragione, dicendomi che nessun essere si eleva al di là di sua madre» [5]. Nell’articolo seguente, l’autore sottolinea la differenza tra l’attività della mente e quindi del “pensare” e la facoltà della zona cardiaca e cioè del “sentire” «La donna mi è sembrata essere migliore dell’uomo, ma l’uomo mi è sembrato più vero della donna. Un uomo che non è sempre conseguente sulle verità non è un uomo; egli ha un bel voltarsi dalla parte della bontà che è certamente una qualità preziosa sotto tutti gli aspetti, gli mancherà ancora qualcosa, poiché non sarà che una figura di donna. Similmente una donna che vuole regnare nelle verità dimentica il suo carattere, e non sarà che una caricatura dell’uomo. Il sentimento è il focolare e il crogiolo delle virtù e dell’amore; l’attenzione è il crogiolo e il focolare delle verità. Se si avesse cura di non confondere queste due basi, si vedrebbe molto più chiaro nei loro risultati; ma chi è che si dà questa cura penosa e indispensabile? Quasi nessuno, perciò quanto ho avuto da soffrire!» [6]. «Sebbene abbia detto, vedi art. n° 201, che le donne si elevano comunemente soltanto fino all’uomo, vale a dire che sembrano ricevere Dio solamente dall’uomo, ho tuttavia osservato anche che esse vorrebbero non avere l’aria che di riceverlo da se stesse. Esse hanno una gran paura che colui che facciamo loro scorgere e facilmente prendere per il loro Dio, non sia che un Dio inferiore. Siccome possono raramente elevarsi più in alto, esse rimproverano all’uomo di non voler discendere al loro punto, e di dimenticare il proprio Dio per il loro, compiendo così un crimine. Il fondo di questo movimento in esse è l’amor proprio; e quando vi si unisce il favore delle circostanze, e l’ardore del carattere, il male è incurabile. Questa osservazione mi è venuta all’occasione da un essere molto rispettabile per le sue virtù, e che non ha altro difetto che di non saper essere uomo, né contentarsi di essere donna. Ve n’è un altro molto caro al mio cuore, e sul quale questa osservazione non può mai cadere; poiché, sebbene quest’essere sia una donna [7], ho detto a voce alta, e lo penso, che è una donna nella quale vi sono dieci grandi uomini» [8]. In quest’ultimo articolo che proponiamo, l’autore mette in evidenza un altro aspetto caratteristico della donna: la loquacità: «Vi è un grande inconveniente a voler istruire le donne sulle grandi verità, e cioè che queste grandi verità si insegnano bene solamente col silenzio, mentre tutto il bisogno delle donne è che si parli e che esse parlino; ed allora tutto si disorganizza, come ho provato più volte» [9]. Esamineremo ora, tenendo conto di quanto abbiamo già appreso circa le opinioni sulla donna da parte di L. C. de Saint-Martin, quali rapporti abbia egli avuto con le donne in genere, anche alla luce della sua grande frequentazione di salotti parigini e conseguentemente delle tante sue amicizie femminili. Ovviamente non va trascurato un importante aspetto, e cioè ch’egli non era certamente, come diremmo noi oggi, un femminista, anche perché la sua epoca sicuramente non vi si prestava. Ma prima di entrare direttamente nell’argomento va evidenziato un fatto molto importante della vita del nostro filosofo, fatto che sicuramente ebbe notevoli conseguenze nelle sue scelte di carattere spirituale e quindi anche sui suoi comportamenti nei confronti delle donne. Saint-Martin rimase orfano di madre, il cui nome era Louise Tournyer, all’età di tre anni, e tre anni più tardi, a seguito delle seconde nozze di suo padre Claude-François con Marie-Anne Trezin ebbe modo di essere allevato dalla matrigna, per la quale nutrì un culto tutto particolare, così come egli stesso scrive: «Io ho una matrigna alla quale devo forse tutta la mia fortuna poiché è lei che mi ha dato i primi elementi di quella educazione dolce, attenta e devota che mi ha fatto amare da Dio e dagli uomini. Mi ricordo di aver sentito in sua presenza una grande circoncisione interiore che mi è stata molto istruttiva e molto salutare. Il mio pensiero era libero accanto a lei, e lo sarebbe sempre stato se avessimo avuto soltanto noi come testimoni; ma ve n’era uno [10] con cui eravamo obbligati a nasconderci come se avessimo voluto fare del male» [11] . Si tratta, secondo quanto afferma Roberet Amadou [12], di una dichiarazione di estrema importanza che evoca una conversione spirituale votata al culto della madre o della Sofia, che poi gli sarà rivelata dalle opere di Jacob Böhme; ed egli scrive: «l’incesto incorporeo con la matrigna, l’insuccesso dei progetti matrimoniali, il valzer delle esitazioni davanti alle donne si compongono con la generazione del verbo, su un vettore unico. Il suo desiderio lo traccia, il quale (desiderio) deve mutarsi in volontà contro dei desideri, contro delle volontà». Questa circoncisione interiore, di cui parla il nostro filosofo, metaforicamente corrisponde ad una castrazione sessuale, per cui, ogni sua generazione futura, conseguentemente, sarà soltanto intellettuale e spirituale. E che questo riferimento alla circoncisione non sia casuale e limitato al solo accenno di cui all’articolo riportato, ma un vero convincimento interiore, lo si ha leggendo anche l’articolo seguente: «L’indomani della terza decade del mese fruttidoro, dell’anno 2 della Repubblica francese […] mi sono trasferito da Amboise alla mia casa di Chandon […] mi disposi del mio meglio perché questa nuova carriera non mi fosse pregiudizievole […] Ho preso nella casa per mio studio la camera dove vent’anni prima ricevetti nel cuore la circoncisione» [13]. E in effetti che questa circoncisione interiore, o del cuore, è in un certo senso effettivamente legata alla sfera sessuale, per cui i suoi desideri vengono dirottati verso altre regioni, lo si ricava anche dalla lettura del seguente articolo: «Mi si era fatto eunuco, e sebbene abbia avuto la stupidaggine di lasciarmi andare ad ostacolare questa destinazione, si è voluto forzatamente farmi eunuco di nuovo, tanto la legge superiore è invariabile nei suoi piani. Ed anche la mia seconda maniera d’essere eunuco sarà molto più bella della prima» [14] . Ma veniamo ora ai suoi rapporti con il mondo femminile. Prima di esaminare questi rapporti, sarà bene dare, con le parole del nostro filosofo, una descrizione del suo aspetto esteriore, anche se la sua modestia non ci permetterà di avere un ritratto fedele. Anzitutto egli dice che «Non mi si è dato il corpo che in progetto» [15], ma più in là, afferma: «Ho sentito che alla natura del mio spirito, ed al gusto che gli si era dato, era impossibile che io non fossi nato uomo per il sesso, sebbene fossi misero di corpo…» [16]. Ed ancora, sebbene con un po’ di ironia, dice: «Nella mia infanzia e nella mia giovinezza ho avuto una figura e degli occhi abbastanza notevoli da avermi attirato degli sguardi ed anche degli elogi imbarazzanti per me che ero timido, particolarmente a Nantes da parte delle Signore della Musanchere e de Menou; e ciò a tavola, e talvolta nelle strade, da parte dei passanti. Ma la verità è che quando mi sono guardato in uno specchio, senza trovarmi brutto, ero ben lungi dal trovarmi tale quale sembravo essere per gli altri, e mi sono persuaso che la loro immaginazione faceva la metà delle spese» [17]. Veniamo finalmente ai suoi rapporti con le donne; da giovane, come vedremo, e come era ovvio data l’età, il suo approccio con esse è stato, a dir poco, da sprovveduto; ecco cosa egli dice: «La mia stupidaggine accanto alle donne non è mai meglio apparsa che all’età di 20 anni, in casa della Signora Duvau a Paradis vicino ad Amboise. Vi presi simpatia per una giovane signora. Mi limitavo a scrivere la mia dichiarazione su un foglio di carta che andavo a depositare di nascosto in un cofanetto nella sua toeletta; poi quando mi venivano altri pensieri ritornavo al mio foglio di carta per scriverli. Poi dicevo alla signora ch’essa avrebbe trovato i miei sentimenti nella sua toeletta. Non ottenni nulla con queste maniere. Qualche tempo dopo fui obbligato a partire per il reggimento. Volli esprimere il mio amore verbalmente, ma trovai un’accoglienza così fredda che ciò mi guarì quasi subitamente» [18]. Non sempre però sbagliava solo all’approccio, talvolta sbagliava pure non cogliendo le occasioni che gli si offrivano, cosi come egli ci informa: «Una donna chiamata Signora Bert… de Bl… che veniva spesso in casa di mia zia, mi vi notò nell’età della mia freschezza e nella giovinezza della mia figura. Siccome ero molto stupido vicino alle donne, non trassi partito dalle sue cortesie, sebbene fossero abbastanza significative. Un giorno mia zia volle averla a desinare e m’incaricò del biglietto d’invito. Allorché arrivò mi disse: Scommetto che siete voi che avete scritto il biglietto che ho ricevuto. Come lo sapete? le risposi. Voi non avete mai visto la mia scrittura. Oh, mi rispose lei, il mio cuore me l’ha detto molto prima dei miei occhi. Questa insipidezza mi disgustò talmente che non ho rimesso piede poi in casa di questa signora. Essa veniva sempre in casa di mia zia, e mi guardava con degli occhi che mi avrebbero sterminato se avesse potuto. Venti anni dopo questa scena ci rincontrammo faccia a faccia ad uno spettacolo; eravamo ciascuno in palchi adiacenti, ed avemmo nello stesso tempo la curiosità di vedere chi avevamo per vicini; essa si ritirò come se avesse visto il diavolo» [19]. Nella dichiarazione seguente egli ci dice invece come avrebbe dovuto comportarsi una donna con lui per avere il suo cuore: «Le donne false credono con una virtù apparente di interessare gli uomini e di farsi rispettare da questi. Esse s’ingannano, non vi riusciranno mai se non attraverso una virtù naturale. L’altra disgusta e non persuade. Se gli uomini, in effetti, non fossero così ingannatori, le donne guadagnerebbero più stima ed amore da parte loro dando ad essi più fiducia. Donne, se un uomo non è onesto, impiegate contro di lui le vostre virtù naturali e le vostre virtù apparenti. Se egli lo è, e voi l’amate, credete che sarete molto più sicure a guardare la vostra conquista con una generosa franchezza che con della riserva. Se vi arrendete solamente alle sue sollecitazioni sarete il suo bene, egli vi avrà conquistate, e potrà credersi d’essere nel giusto a non usare dei riguardi che giudicherà a proposito, guardando la vostra reputazione e tutto il vostro essere come sua proprietà di cui dispone. Se, al contrario, gli date il vostro cuore con la generosità dell’amicizia, la sua virtù vi rispetterà, guardandovi sempre come appartenenti a voi stesse, e non si permetterà di ferire in nulla (con) ciò che vi deve, perché, in tutti i doni qualsiasi, vi è un sentimento segreto che ci fa vedere colui che dà come se fosse sempre più grande dei suoi doni, e che c’impegna per conseguenza a rispettarlo. Se, nella mia giovinezza, fossi stato abbastanza libero per seguire assiduamente la carriera dell’amore, le donne avrebbero visto che tale era la mia maniera d’essere e di pensare. Una donna che, per amicizia per me e per franchezza, avesse preso il ruolo che ho descritto, si sarebbe acquistato su di me, sul mio rispetto, su tutti i miei sentimenti un diritto imprescrittibile. Quella che avessi ottenuta solamente per diritto di conquista mi sarebbe stata molto meno preziosa. È quest’ultima istruzione che si dà alle donne nel mondo. In mancanza della virtù naturale, si dà loro la virtù d’apparenza. Perciò, quanto essa dura nel tempo? Perciò, quante donne raggirate? Il solo amore dei sensi ha forse ancora più inconvenienti, soprattutto nel matrimonio. Prima di quest’impegno, le attrattive della donna non offrono che la seduzione di tutta la loro esteriore “coloritura del viso”. Una volta contratto l’impegno, essi (i sensi) non offrono più che le segrete e progressive degradazioni ed amarezze della natura. Perché questa natura è talmente un velo che ha bisogno d’essere velata essa stessa per essere sopportabile» [20]. Un altro motivo dei suoi insuccessi con le donne è stato una certa consapevolezza, da parte sua, della propria superiorità nel pensare, nel sentire, nell’agire; ecco quanto, a questo proposito, egli scrive: «Indipendentemente dalla mia stupidaggine accanto alle donne, ho avuto pure molta fierezza. Io dicevo loro: un uomo, per lo meno, vale una donna, e quando egli fa tanto di parlare, bisogna che lo si ascolti, o egli deve tacersi e non parlare una seconda volta. Perciò con queste maniere la lista delle mie conquiste non è stata lunga. Il vero è che, nel caso in cui una donna avesse preso un vero gusto per me, io sarei stato di maggior gradimento per essa se lei me l’avesse confessato nella sua franchezza, e si fosse condotta di conseguenza, (e ciò), più di quanto lo sarei stato per quelle (donne) che mi avessero fatto passare attraverso tutte le loro prove ordinarie, nelle quali, il loro amor proprio, ed il timore d’essere umiliate con delle indiscrezioni, le occupano molto più di quanto dovrebbero occuparle il desiderio ed il bisogno d’essere amate» [21]. Ma in realtà era un altro il vero motivo per il quale egli ebbe così scarso successo con le donne, e cioè che egli era, proprio per quella circoncisione del cuore di cui abbiamo parlato, esclusivamente votato alla ricerca del divino, in quanto, com’egli dice, il suo cuore era nato suddito del regno evangelico : «Le donne, anche le più oneste non hanno potuto indovinare che cos’era il mio cuore, ecco perché non hanno saputo appropriarselo. Credo dunque di poter dire qui che esso era nato suddito del regno evangelico. Ora noi siamo stati avvertiti che questo regno si prendeva con la violenza [22]. È questa la causa per cui ho fatto così poche spese accanto alle donne; poiché la mia dignità originale me lo impediva. Non era affatto con i sensi che le donne avrebbero guadagnato il mio cuore, esse non avrebbero preso con questo che il mio corpo, e ciò non era molto difficile. Non era neppure con la testa, esse non avrebbero avuto con questo che la mia testa, supponendo tuttavia che quella che mi avrebbero opposto fosse stata sana, viva e luminosa; era dunque ad armi uguali che bisognava battersi con il mio cuore, vale a dire con le armi del regno evangelico e divino. Era in un simile combattimento che le donne non dovevano temere di compromettersi usando la violenza contro il mio cuore, e mi piace pensare che non avrebbero avuto da pentirsi dei loro sforzi» [23]. Ma passiamo ora a parlare di una donna che nelle affezioni spirituali di L. C. de Saint-Martin, occupò un posto rilevantissimo e che dunque si batté ad armi uguali con il suo cuore, e cioè di Madame Charlotte de Boeklin, ossia di colei a cui il nostro filosofo attribuisce l’avvenimento più importante della sua carriera di studioso e di ricercatore, ovverosia la conoscenza del filosofo teutonico Jacob Böhme; e come egli pose il Böhme al di sopra di ogni altro maestro, così egli pose colei che indicava con l’espressione la mia B., al di sopra di tutte le sue innumerevoli amiche. Nel giugno del 1788, e cioè a 45 anni, il Saint-Martin si reca a Strasburgo e in questa città, che lui definirà il suo paradiso (mentre la sua città natale Amboise la definiva il mio inferno, e Parigi il mio purgatorio), incontrerà i due personaggi che lo porteranno a conoscere l’opera di J. Böhme, la leggiadra Madame de Boeklin ed il sapiente teosofo Salzmann, i quali, appunto, gli trasmetteranno il desiderio di leggere nella lingua originale gli scritti di questo geniale calzolaio di Görlitz, inducendolo, per tale scopo a studiare, alla sua età, la lingua tedesca. Madame de Boeklin, di buona indole, molto istruita, dal portamento un po’ imperioso, come afferma Jaques Matter [24], di importante famiglia Alsaziana, alla bellezza univa le attrattive della bontà. Saint-Martin e Madame de Boeklin, al momento del loro incontro avevano entrambe l’età di 45 anni, ma a differenza del nostro filosofo che era scapolo, madame de Boeklin era madre e nonna, ma separata dal marito. Il Matter afferma che fra i due non vi fu una reciproca passione, poiché ciò non risulterebbe dalla corrispondenza tenuta dalla Boeklin con una sua amica, ma da quanto scrive Saint-Martin nel suo “Ritratto”, la cosa sarebbe del tutto diversa, anche se è possibile ammettere che l’esaltazione del nostro filosofo fosse di gran lunga superiore a quella della sua cara B. ; ecco ciò ch’egli afferma nel suo “Ritratto” all’art. 187: «Uno dei tiri di colui che non ha cessato di combattermi, è quanto mi accadde a Strasburgo nel 1791. Erano tre anni che vedevo tutti i giorni la mia amica intima; noi avevamo avuto da lungo tempo il progetto di abitare insieme, senza aver potuto eseguirlo; infine l’eseguimmo. Ma in capo a due mesi, bisognò abbandonare il mio paradiso, per andare a curare mio padre. Il tafferuglio della fuga del Re mi fece ritornare da Lunéville a Strasburgo dove passai ancora quindici giorni con la mia amica; ma bisognò giungere alla separazione. Io mi raccomandai al magnifico Dio della mia vita per essere dispensato dal bere questa coppa; ma lessi chiaramente che, sebbene questo sacrificio fosse orribile, bisognava farlo. E lo feci versando un torrente di lacrime. L’anno seguente a Pasqua, tutto era combinato per ritornare presso la mia amica, una nuova malattia di mio padre venne ancora come al momento buono, ad arrestare tutti i miei progetti. Mi ricordo che essendo in collegio dove prendevo gusto nei miei piccoli studi, mio padre me li fece interrompere in capo a sei mesi e mi fece ritornare per farmi fare un abito. Sebbene l’interruzione non fosse che di quindici giorni, essa spezzò tuttavia abbastanza il mio andamento, perché non ho mai potuto riprenderlo poi, con il gusto e l’incanto che vi provavo prima. La mia vita intera non è stata che un seguito di simili rotture; e ciò sarà lo stesso finché avrò vinto completamente, e che il mio congiungimento cominciato, sia perfetto; allora la ruota del mondo e delle sue potenze non mi trascinerà più sebbene io sia ancora nel mondo». E più in là scrive ancora: «Io ho, in questo mondo, un’amica come non ve n’è affatto; non conosco che lei con cui la mia anima possa effondersi a suo agio, ed intrattenersi sui grandi oggetti che mi occupano, perché non conosco che lei che sia posta nella misura in cui io desidero che si sia per essermi utile. Malgrado i frutti che io farei accanto ad essa, noi siamo separati dalle circostanze. Dio mio, che conosci il bisogno che ho di lei, falle pervenire i miei pensieri e fammi pervenire i suoi. Ed abbrevia, se è possibile, il tempo della nostra separazione». Pertanto, indubbiamente doveva esserci tra loro, da quanto abbiamo letto, una reciproca affinità elettiva; e niente di tutto ciò è più vicino all’amore così come lo intendeva Saint-Martin. In effetti, quanto meno, siamo di fronte ad un amore di tipo platonico fatto di quei sentimenti propri delle anime mistiche, e pertanto lontani dalle passioni di tipo profano. Che il suo amore per Madame de Boeklin fosse senz’altro della natura di cui parliamo, lo prova anche il seguente articolo: «Vi sono stati due esseri nel mondo in presenza dei quali Dio mi ha amato; così sebbene uno di questi due esseri fosse una donna (la mia B.), ho potuto amarli tutti e due tanto puramente quanto amo Dio, e per conseguenza amarli in presenza di Dio; e non vi è che questa maniera con cui si deve amare, se si vuole che le amicizie siano durevoli» [25]. In un altro articolo (n° 265) del suo “Ritratto”, il nostro filosofo ci dice anche su quali basi devono posarsi i legami tra uomo e donna: «La donna ha in sé un focolare d’affezione che la travaglia, e l’imbarazza; essa non è a suo agio se non quando questo focolare trova alimento, non importa poi ciò che diverrà la misura e la ragione. Gli uomini che non vanno più in là del noviziato, sono facilmente attirati da questo focolare, che non sospettano essere un abisso. Essi credono di trattare delle verità d’intelligenza, mentre trattano solamente delle affezioni e dei sentimenti; non vedono che la donna va al di là di ogni cosa pur di trovare l’armonia dei suoi sentimenti, non vedono ch’essa sacrifica volentieri a questa armonia dei sentimenti, l’armonia delle opinioni. Non vedono che a lungo andare questo abisso deve corrodere e consumare la loro misura che è il dono dell’uomo; ed è solamente con l’esperienza ch’essi acquistano questa conoscenza. Perciò allorché i legami dell’uomo e della donna non riposano, come quello della mia B. e me, su delle basi fuori di noi, è impossibile ch’essi sussistano, e presto o tardi l’uomo s’accorge della sua diminuzione e si ritira…». Più volte, nel suo “Ritratto storico e filosofico”, come nel precedente articolo, Saint-Martin sottolinea la sostanziale differenza di Madame de Boeklin dalle tante altre donne che lui ha frequentato e di cui è stato amico, giungendo perfino ad affermare che lei non era donna. E tale affermazione la troviamo ancora nel seguente articolo: «Spesso ho notato che le donne, e quegli uomini che si lasciavano effeminare nel loro spirito erano soggetti a nazionalizzare i problemi, come il ministero inglese ha voluto nazionalizzare la guerra che ci fa in questo presente anno 1793. Esse pensano piuttosto a mettere al riparo se stesse anziché la verità e la giustizia. (Eccettuo sempre da questo giudizio la mia deliziosa amica B. che non è donna. ………» [26]. Ed in un altro articolo infine dichiara che «…Questa amica è dopo il mio caro B.…(Böhme) la più preziosa perla visibile che io abbia in questo mondo» [27]. Per completare ricordiamo ancora ch’egli di lei aveva detto nell’art. 220 (vedi nota n° 44) che “è una donna nella quale vi sono dieci uomini”. Ma dalle tante frequentazioni ch’egli ebbe con le donne vi fu mai l’occasione per lui di un matrimonio? Forse vi pensò come ad un’eventualità possibile, ma indubbiamente l’incesto incorporeo, come lo definisce Robert Amadou, ch’egli ebbe con la sua matrigna, o la circoncisione del suo cuore, come egli stesso dice, fece trasferire il suo desiderio verso le regioni dello spirito alfine di trovare Dio e quindi il suo amore. Ora l’amore di Dio è ben altra cosa rispetto ai sentimenti umani di questo mondo, e quindi sull’amore egli fu molto esigente, ecco cosa dice a questo proposito: «La natura della mia anima è stata di essere estremamente sensibile, e forse più suscettibile dell’amicizia che dell’amore. Tuttavia quest’amore stesso non mi è stato estraneo, ma non ho potuto abbandonarmici liberamente come gli altri uomini perché sono stato troppo attirato dai grandi scopi, e non avrei potuto godere realmente della dolcezza di questo sentimento se non per quanto il sublime appetito che mi ha sempre divorato avesse avuto il permesso di soddisfarsi; ora è un permesso che i “padroni sacri” mi hanno sempre rifiutato. Infine non avrei voluto abbandonarmi al sensibile se non per quanto il mio spirituale non fosse sembrato delitto e follia. Oh se questo spirituale fosse stato a suo agio, quale cuore avrei avuto da dare!» [28]. A proposito dei “padroni sacri” e della loro autorità su di lui e sui suoi problemi matrimoniali, ecco quanto egli scrive in un altro articolo: «Tre persone hanno voluto che io mi sposassi, e queste tre persone sono una signorina che chiamo l’angelo [29], io, ed il diavolo; ma una quarta persona non l’ha voluto, e la spunterà secondo ogni apparenza sulle altre tre, poiché questa quarta persona è il buon Dio che non ha cessato di rovesciare tutti i progetti dei desideri umani e temporali che ci governano tutte e tre, e di venire in soccorso delle mie debolezze preservandomi egli stesso da me» [30]. E a proposito di questa signorina chiamata l’angelo, è proprio a lei che si riferisce Saint-Martin col seguente articolo: «Non avrei avuto, credo, né la forza di sopportare le delizie del matrimonio né quella di sopportarne le avversioni. Ecco perché ne sono stato così costantemente preservato. Io non ho che un solo impiego da adempiere, quello di piangere; e quest’impiego deve fornirmi tutte le ricchezze e tutti i piaceri. Ho fatto talvolta questa confidenza a quella che io chiamo l’Amore, e con la quale si voleva sposarmi. Questa persona virtuosa e piena di giudizio, dimenticava tuttavia facilmente questo punto, tanto desiderava rientrare nell’indipendenza domestica col nostro matrimonio. In un piccolo viaggio che ho fatto ad Amboise nel mese di agosto 1797 ho fatto ricorso per fortificarla a due consulti di Parigi di cui uno non mi giudicava adatto a questo stato, e l’altro non restituiva per risposta che un silenzio assoluto. Ciò le parve molto più chiaro e decisivo. Così sembra che tutto è rimasto lì» [31]. Poi sempre riferendosi a lei scriverà ancora: «…Questi movimenti me la resero più cara ed avrei trovato bello ripagarla con un sacrificio che sarebbe stato più completo; ma vi è sempre il potere nascosto del mio destino che non vuole lasciar andare e che fa che io non mi ci avvicini…». Già molti anni prima, e precisamente nel 1778 vi erano state delle velleità di matrimonio come dice egli stesso; ecco l’articolo in cui ne parla: «Ho goduto a Tolosa della compagnia di un’amabilissima famiglia, i Du Bourg [32]. …Sono stato colpito dalla bontà delle anime pure che ho incontrato nella deliziosa famiglia Du Bourg. Vi è stata questione di alcune velleità di matrimonio per me, prima con la primogenita Du Bourg, e poi con un’inglese chiamata Signorina Rian. Ma tutti questi progetti sono svaniti come tutti quelli che erano legati solamente alle cose di questo basso mondo, poiché mille esperienze mi hanno insegnato che invano la sorte tenterebbe di legarmi alla terra, e che io ero nato soltanto per una sola cosa. Felice, felice, se le circostanze non avessero lasciato così spesso la mia debolezza a se stessa, e non mi avessero esposto con questo a discendere, invece di salire come non avrei dovuto cessare di fare» [33]. Anche altri sono i motivi per cui Saint-Martin non affrontò il matrimonio, così come risulta da quanto egli stesso ci dice in più occasioni nel suo “Ritratto”; ad esempio nell’articolo n° 244 manifesta i suoi alterni dubbi circa la sua castità ed afferma: «Ora ho creduto non dovermi sposare perché mi sentivo troppo casto; ora ho creduto non dovermi sposare perché sentivo che non lo ero abbastanza». Nell’articolo n° 195 adduce invece, ironicamente, un altro motivo: «Una delle ragioni che ha assecondato gli ostacoli matrimoniali per me, è stato di sentire che l’uomo che resta libero non ha da risolvere che il problema della sua persona; ma che colui che si sposa ne ha da risolvere uno doppio». Ecco un altro motivo di ordine spirituale e cioè che le nostre inclinazioni temporali sono a discapito di ciò che noi dobbiamo fare per la cosa divina: «A tutto ciò che ho ammesso a proposito di matrimonio, ho da aggiungere che se in effetti, tutto l’universo è nel sonnambulismo, (come ho detto da qualche parte), ne consegue che dandoci ai nostri gusti temporali noi ci gettiamo in questo sonnambulismo, e che così tutto ciò che facciamo per la nostra propria soddisfazione è un furto reale che facciamo alla cosa divina alla quale dovremmo lavorare esclusivamente; ed allorché ci decidiamo a questa specie di furto, contraiamo con questo l’obbligo di lavorare doppiamente a quest’opera divina per riparare il torto che le facciamo. Resta da sapere se possiamo impegnarci ad adempiere quest’obbligo. Questa riflessione mi venne una sera andando dalla Signora de Clermont. Gliene feci parte, come pure della mia risposta a Mariendal [34]. Malgrado ciò essa persistette nelle sue idee della mia unione con l’Amore» [35]. In quest’altro articolo invece dimostra di temere certe trappole che il matrimonio comporta: «Nelle mie lettere all’amica dell’Amore mi ricordo di avere scritto una volta che nel contratto che una donna ed un uomo negoziavano proponendosi i legami del matrimonio, ci si intrappolava sempre da ambo le parti; ma che la prudenza reciproca esigeva che vi si guardasse abbastanza per non lasciarsi troppo intrappolare» [36]. Già abbiamo colto talvolta in lui il dubbio, ecco cosa afferma nel seguente articolo: «Nelle idee di matrimonio che mi hanno occupato di tanto in tanto, ve ne sono state che mi hanno attratto per il desiderio e la speranza di impiegare utilmente le preghiere della mia sposa e le mie per ottenere la grazia e la salvezza di una “persona” preziosa per me. Talvolta sono stato trattenuto dal timore che il pensiero di questa “persona” preziosa si portasse sulla nostra unione, e la macchiasse con la sua influenza. Mio Dio, perdonala» [37]. A volte invece è il timore che nel matrimonio si possa cadere nel disgusto generato dai corpi: «Sebbene non sia sposato, ho sentito che se gli sposi non hanno cura di guarirsi dai disgusti dei loro corpi con il gusto dei loro spiriti, la loro società non può essere che un inferno» [38]. Spesso il nostro filosofo dimostra, nell’esporre le su opinioni, di avere una buona dose di ironia, così come nel seguente articolo: «In alcune circostanze in cui era questione di matrimonio per me, mi è accaduto di dire a delle donne scherzando: Siete una bestia se non mi sposate, ed io sarei un folle se vi sposassi: Ma per non troppo irritarle aggiungevo che nel mondo accadevano più facilmente le follie che le bestialità. Coloro che vedranno in queste singolari frasi più orgoglio di quanto non mi conviene averne non conosceranno la parola che scioglie l’enigma, poiché in verità non è l’orgoglio che mi ha fatto parlare così» [39]. Per terminare quest’esame dei motivi che hanno portato il nostro filosofo a non contrarre matrimonio eccone infine uno, riferito da egli stesso per bocca di un’amica: «Ho passato deliziosamente la serata dell’ultimo giorno dell’anno 99 del diciottesimo secolo presso la mia buona amica Signora Lenoir-Laroche, una delle donne più virtuose ch’io abbia conosciuto, e che ha delle vedute molto lodevoli sull’educazione delle giovani persone del suo sesso. Essa mi ha dato un’idea sorprendente (che non avevo) sulla ragione per cui io non mi sono sposato, cioè che ero nato “una donna” che poi si era sposata con “un uomo”, e che così non avevo bisogno d’altro. Ciò potrebbe avere tuttavia dei rapporti con l’art. n° 915». Nell’art. n° 915 del presente “Ritratto”, egli aveva detto: «Non ho sempre rimpianto di non essere sposato. E neppure mi sono detto talvolta che ero più avanzato di coloro che lo erano, perché essi non erano ancora che sposati, e che io ero già un po’ divorziato. Lo ero anche assolutamente per mia necessità». __________ Note 1. Vedi partizione 2, “Della natura materiale”, cap. “Della donna”. ^ 2. Vedi “Dello spirito delle cose” vol. I°, cap. “Della generazione delle anime”. ^ 3. Vedi “Il Ministero dell’Uomo-Spirito”, a pag. 37 delle Edizioni M.I.R. ^ 4. Vedi “Il mio libro verde”, art. 771. ^ 5. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 201. ^ 6. Idem, art. 206. ^ 7. Quest’essere non è altri che Madame Charlotte de Boeklin, di cui parleremo in seguito e che spesso viene indicata dall’autore con l’espressione “la mia B.”. ^ 8. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 220. ^ 9. Idem, art. 245. ^ 10. Si tratta del padre il quale sempre cercò di ostacolarlo nelle sue inclinazioni. ^ 11. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 111. ^ 12. Noto studioso e curatore delle opere di Saint-Martin. ^ 13. Idem, art. 496. ^ 14. Idem, art. 1034. ^ 15. Idem, art. 5. ^ 16. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 93. ^ 17. Idem, art. 99. ^ 18. Idem, art. 119. ^ 19. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 142. ^ 20. “Il mio libro verde”, art. 353. ^ 21. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 213. ^ 22. Vedi nel presente libro il capitolo : “Violentare Dio nella preghiera”. ^ 23. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 935. ^ 24. Studioso del 19° secolo, autore di un’opera su Saint-Martin. ^ 25. Idem, art. 7. ^ 26. Idem, art. 348. ^ 27. Idem, art. 628. ^ 28. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 15. ^ 29. Probabilmente si tratta di una sua cugina di Amboise. ^ 30. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 27. ^ 31. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 807. ^ 32. Esite un’interessantissima raccolta delle lettere scritte da Saint-Martin ai Du Bourg, curata da Robert Amadou. ^ 33. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 303. ^ 34. Forse si tratta della cugina di Amboise, che a volte è indicata come l’angelo, a volte come l’Amore. ^ 35. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 849. ^ 36. Idem, art. 851. ^ 37. Idem, art. 87. ^ 38. “Il mio ritratto storico e filosofico”, art. 75. ^ 39. Idem, art. 756. ^ |