Se gli archetipi sono universali, variegata è la loro manifestazione nelle diverse culture. Un popolo di cacciatori-raccoglitori non vive come un popolo di agricoltori. Presso gli agricoltori, l’archetipo della Grande Madre si esprime nel culto della Madre Terra, signora della vegetazione e dell’agricoltura. Presso i cacciatori-raccoglitori nel culto della Signora degli animali, cui il cacciatore lascia nel bosco un’offerta primiziale, una parte del raccolto o una singola preda, come ringraziamento.
Malia della Grande MadreSe gli archetipi sono universali, variegata è la loro manifestazione nelle diverse culture. Un popolo di cacciatori-raccoglitori non vive come un popolo di agricoltori. Presso gli agricoltori, l’archetipo della Grande Madre si esprime nel culto della Madre Terra, signora della vegetazione e dell’agricoltura. Presso i cacciatori-raccoglitori nel culto della Signora degli animali, cui il cacciatore lascia nel bosco un’offerta primiziale, una parte del raccolto o una singola preda, come ringraziamento. Un’importante chiave di lettura sulla genesi del monoteismo, deve essere ricercata nell’interrelazione tra i popoli e l’ambiente. Per gli indoeuropei, germani, celti, slavi, arii, ecc. che vivevano immersi in un ambiente naturale ricco di foreste, paludi, e corsi d’acqua, era naturale identificare i luoghi naturali con molteplici divinità, specialmente femminili. Mentre i nomadi del deserto erano portati ad idealizzare un modello patriarcale, dominato da un singolo capotribù maschio, dotato di potere assoluto sui sudditi. Lo stesso culto di Iside si è diffuso più velocemente tra le genti contadine, perché la donna è tradizionalmente dedita alle piante e richiama l’idea della fertilità universale. Al contrario, tra i semiti del deserto, popoli di pastori dove predominava l’allevamento del bestiame, la donna è sempre stata socialmente poco rilevante. L’importanza dell’archetipo femminile religioso deve essere ricercato nella scoperta dell’agricoltura e nella coltivazione delle piante; o, comunque, nella vicinanza di importanti corsi d’acqua, come il Nilo, ad esempio. Tra le civiltà cosiddette “primitive”, sono quelle appartenenti al gruppo dei “coltivatori” a testimoniare una posizione femminile socialmente elevata: per esempio, gli Ao-Naga della pianura di Assam (India). Tuttavia, queste considerazioni diffuse dagli studi di geografia religiosa non inficiano l’idea bachofeniana che all’origine di tutte le civiltà, compresa quella semitica, vi sia il matriarcato ed il culto della Dea. Campbell dimostra benissimo come le religioni del Padre, rimangono chiuse all’interno di schematismi prevalentemente dualistici (il Bene/il Male, il Sole/le Tenebre, il Maschile/il Femminile, il Vero/il Falso, ecc.), mentre le religioni della Madre considerano le coppie d’opposti come semplici aspetti complementari della realtà, da ricondurre ad unità. In questo senso, mentre nella spiritualità solare-maschile il Sole esclude le Ombre, in quella Lunare Luce e Ombre sono complementari e sussistono simultaneamente [1] La Grande Madre è un archetipo religioso che simboleggia il ciclo della Natura, quindi la Vita, che crea-per-distruggere e distrugge-per-creare. Originariamente nelle civiltà agricole arcaiche o “primitive”, il culto della Grande Madre (Mater Natura) si diffonde con la scoperta delle piante alimentari. Si dovrebbe introdurre una prima distinzione tra i popoli cacciatori-raccoglitori, i popoli che praticano la pastorizia e quelli che conoscono l’agricoltura (anche se a livello “primitivo”: non certamente la cereocultura o l’uso dell’aratro). Per la mentalità “primitiva” era strabiliante che dal suolo sorgessero le piante alimentari, dopo aver seminato. Questo “evento” fu messo in connessione con l’alternarsi periodico delle stagioni e con la fertilità della donna. Sia perché il grembo femminile come la Terra partorisce i suoi frutti, sia perché, probabilmente, la donna è stata la prima a prendersi cura delle piante, mentre l’uomo si dedicava alla caccia ed alla guerra. A questa importante serie di nessi simbolici, Terra/Natura/Stagioni/Donna/ciclo mestruale, si aggiunse anche il simbolismo lunare. La Luna simboleggia l’eterno ritorno del divenire, la ciclicità dell’Anno e del Cosmo, in quanto, a differenza dell’astro solare, si trasforma evolvendosi nel cerchio perenne del tempo. Al potere della Grande Madre erano associati regimi matriarcali [2], come per esempio quello della civiltà minoica, prima della conquista dell’Ellade da parte degli Achei, adoratori del montone e del solare (ma anche lunare) Apollo. Cibele in Frigia, Iside in Egitto, Astarte in Fenicia, Inanna nella civiltà sumera, Rea a Creta, Ecate dea degli inferi preellenica, ecc, sono tutte Grandi Madri. Naturalmente tra gli dei indoariani non si deve dimenticare Kalì la nera: forse la dea che più di tutte, danzando sopra una piramide di teschi ed indossando una collana di mani, racchiude il significato profondo della Natura che genera-per-distruggere, ma sa proteggere i suoi figli. Dunque, un parallelismo tra l’elemento tenebroso/terribile/distruttivo e quello materno/protettivo/generatore. Femmina sanguinaria ma al contempo, materna; assassina e, nello stesso tempo, madre: «ventre fertile e tomba del mondo». [3] Nel tantrismo shivaita, l’aspetto femminile rappresentato da Shakti è più importante di quello maschile. Shakti è la manifestazione della potenza di Shiva. La lezione tantrica supera il dualismo gnostico-manicheo, per il quale la realtà è essenzialmente dicotomica. La lezione della Grande Madre è in fondo questa: Kalì con la destra porge doni e con la sinistra cinge una spada [4]. Circolarità dell’essere articolata in una forma di sacralità dove il Sublime non è contrapposto, ma speculare al Terribile, la noesis alla carne, la contemplazione al sangue ed alla violenza. Un tipo di metafisica che si trova anche presso gli Aztechi (anche se gli Inquisitori cristiani non avevano niente da invidiare a questi, sotto il profilo della crudeltà e dell’efferatezza). Un tipo di analisi simile è proposta anche da R. Girard con i suoi studi sullo scapegoat [5]. ConclusioneLa mancata armonia dei contrari è peculiare al Cristianesimo post-paolino, che ha trionfato nel corso della storia e ha realizzato l’apogeo del suo trionfo, con la persecuzione dei Quietisti alla fine del XVII secolo. La grande tradizione della mistica renano-fiamminga, che affonda le sue radici nel pensiero greco e che si estende fino al Quietismo francese, era in grado di superare qualunque apparente difficoltà teoretica derivata dall’impianto speculativo dualistico, basilare all’elaborazione dottrinale della Chiesa Cattolica Romana. Ma la mistica dell’essenza fu perseguitata e sconfitta dalla teocrazia sacerdotale. Il dualismo fondamentale è, dunque, rimasto irrisolto e latente, pronto a tornare in superficie alle prime crepe sul muro dell’ortodossia religiosa. Il ritorno degli dei non è altro che il ritorno del “perturbante” freudiano, il conflitto rimosso. Sta alla teologia contemporanea risolvere il conflitto psichico e religioso tra l’Io e l’Ombra, tra la Luce e le Tenebre, che tanti danni ha provocato nell’Immaginario religioso collettivo [6]. __________ Note1. Cfr. J. Campbell , Mitologia occidentale, Mondadori, Milano 1992 p. 35. (torna al testo) 2. Non tutti gli storici delle religioni concordano sulla plausibilità di un matriarcato primordiale, teoria propugnata per la prima volta da Bachofen. Tra i principali teorici del matriarcato primordiale troviamo il celebre studioso di mitologia comparata americana, J. Campbell. (torna al testo) 3. Cfr. J. Campbell , Mitologia occidentale, Mondadori, Milano 1992 p. 35 (torna al testo) 4. Cfr. Ibid . p. 35. (torna al testo) 5. Cfr. R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987. (torna al testo) 6. Caso tipico di questa drammatizzazione epilettica del conflitto dei contrari è la celebre vicenda delle indemoniate del convento di Loudun. (torna al testo) __________ Bibliografia• W. Mogge, I Wandervögel: una generazione perduta. Immagini di un movimento nella Germania prenazista, ed. Socrates, Roma 1999. • N. G. Clarke, Le radici occulte del nazismo, SugarCo edizioni, Varese 1992. • M. Eliade, Enciclopedia delle religioni, vol. 1, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993. • F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano, 1990. • Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 1995. • N. Turchi, Storia delle Religioni, vol. I, Sansoni, Firenze, 1954 • H. Zimmer, Filosofie e Religioni dell’India, Mondadori, Milano 2001. • S. Weil, L’Iliade poema della forza in La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Torino 1967. • S. Weil, La pesanteur et la grâce, Plon, Paris 1948. • Enciclopedia delle Religioni, La religione dei Greci, Garzanti, Milano 1991. • F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Universale Laterza, Roma-Bari 1989. • G. Colli, La sapienza greca, Adelphi, Milano, 1987. • J. Campbell, Mitologia occidentale, Mondadori, Milano 1992. • F. Dimitri, Neopaganesimo, Castelvecchi, Roma 2005. • R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987. • M. Eliade, Il sacro ed il profano, Bollati Boringhieri, Torino 1984. • M. Eliade, Enciclopedia delle religioni, vol. 1, p. 236, Marzorati, Jaca Book, Milano, 1993. • Faivre, Accès de l’ésotérisme occidental, vol. II, Gallimard, Paris 1996. |